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Sword and Fairy Together Forever Recensione: un RPG nel folklore cinese

La saga orientale di Softstar arriva sulle console Sony imbastendo battaglie frenetiche, scenari impressionanti e un’originale ambientazione cinese.

Sword and Fairy Together Forever
Recensione: PC

Non sono numerosi in Occidente gli estimatori della longeva serie videoludica creata da Softstar, apprezzatissima in patria fin dal suo primo capitolo datato 1995 e capace di inserirsi con fierezza nel filone dei giochi di ruolo di stampo asiatico. L’esportazione del prodotto è stata manchevole per quasi tutta la sua esistenza, con le versioni PC mai localizzate e giunte sui nostri monitor solo grazie al lavoro degli appassionati traduttori, finché il sesto episodio (pubblicato tre anni fa) non ha finalmente messo sotto i riflettori in modo opportuno quella che è una saga degna di attenzione.

Together Forever invece è l’ultima incarnazione della serie ruolistica, che a seguito del debutto su PC è finalmente giunta su PS4 e PS5. Ebbene, il titolo sviluppato dal team di Taiwan soffia una ventata d’originalità per contesto e cornice visiva ma è caratterizzato da alcuni difetti, anche in ambito narrativo, che in parte impediscono all’esperienza offerta di brillare del tutto.

I tre Regni dell’esistenza

Nell’universo che ospita gli eventi narrati, il mondo per come lo conosciamo non è che una parte di una realtà frammentata, perché oltre al nostro piano di esistenza troneggiano i regni delle Divinità e dei Demoni, che – in seguito a una sanguinosa guerra terminata senza un vero vincitore – sono rimasti separati da quello degli Umani.

La pacifica tregua messa in atto dai Lord dei tre Regni però viene sospesa da Xiu Wu, un guerriero divino spedito nel mondo dei Demoni dal suo padrone Aoxu per eliminare la minaccia di Kuiyu, ma in seguito al fallimento della sua missione piomba nella realtà degli Umani riassumendo le sembianze originarie di una mela. Il frutto divino viene ritrovato dalla giovane Yue Qingshu, l’ultima esponente di un culto in declino dedito al controllo dello spirito animale, un potere che le permette di allearsi con le potenti bestie mitologiche e utilizzare le loro abilità in battaglia. L’unico superstite del folto bestiario una volta in possesso del clan è Qialoing, un uccello capace di controllare il tuono, che sembra spaventato dal potere emanato dal frutto tra le mani della padrona Yue. La ragazza al contrario è attratta dal bagliore etereo della mela, e cede alle proprie tentazioni liberandole con un delicato morso: nonostante abbia solo intaccato in maniera superficiale la buccia, Yue libera con i suoi denti la divinità intrappolata nel pomo, legando il suo spirito a quello di Xiu Wu.

La giovane discepola del clan Mingshu non ha nemmeno il tempo di analizzare la nuova situazione, perché una gigantesca aquila nera solca il cielo sopra il villaggio, trascinando le grida di un bambino avvolto tra i suoi artigli. In seguito a una breve lotta, Yue e Qialoing riescono a liberare il fanciullo che, una volta ripresosi dallo shock, annuncia alla ragazza di essere un Prescelto, vettore della divinità maestra Aoxu nel regno degli Umani e tenuto al sicuro presso il clan Tianshi dal suo capo Mengzhang. Il tentativo di rapimento era stato architettato dal demone Kuiyu, decisa a vincere la rinnovata guerra con le Divinità appropriandosi del fragile giovane.

La rottura della tregua porta con sé anche la liberazione delle Bestie Feroci, potenti spiriti una volta imprigionati nella Prigione Celestiale che ora devastano il regno degli Umani. Yue e Xiu Wu cominciano dunque il loro viaggio per mettere in sicurezza il territorio minacciato dalle creature, mentre intorno a loro divampa la guerra tra Divinità e Demoni, combattuta con gli inganni ai danni degli umani che non possono far altro che assistere inermi al terribile spettacolo.

I canoni classici

La trama di Sword and Fairy Together Forever, come già accaduto per gli altri capitoli della saga, contiene al suo interno numerosi richiami ai titoli precedenti, ma è pensata per essere perfettamente godibile anche dai giocatori che non hanno esperienze pregresse con l’immaginario creato da Softstar.

I protagonisti e le loro storie, infatti, sono originali e mai raccontati prima d’ora, eppure vengono calati all’interno di una cornice mitologica condivisa che funge da base per ogni nuovo capitolo numerato. La narrazione riprende il canovaccio classico che muove la maggior parte dei giochi di ruolo orientali, costruendo una prevedibile avventura divisa in tre atti senza particolari sbalzi qualitativi, pregna dei soliti tradimenti e sentimentalismi che il pubblico occidentale è abituato a ritrovare nei più celebri titoli giapponesi (esempio lampante è la serie Persona di Atlus, il cui ultimo capitolo vi abbiamo raccontato nella nostra recensione di Persona 5 Royal) ma che, evidentemente, accomunano anche altri RPG asiatici. I volti al centro del racconto si immettono negli stereotipi del genere tratteggiando personalità destinate a evolversi nel corso della storia, ma lo fanno senza mai scardinare le regole e rimanendo dunque prevedibili, come nel caso della Divinità Xiu Wu, che da cinico e anaffettivo diventerà conscio della sua emotività e di quella degli altri.

Ciò che rende unica la narrazione di Sword and Fairy, e in definitiva che scuote un intreccio fin troppo banale, è il suo straordinario contesto folkloristico, che ha preso forma e si è addensato nel corso dei 27 anni di vita della serie. La mitologia orientale con le sue tradizioni millenarie è diventata la base di una storia che utilizza il pretesto della guerra per scandagliare le differenze e le similitudini degli abitanti dei tre Regni, il tutto in ambientazioni tipicamente cinesi che – almeno per chi non è avvezzo a questa cultura – risultano fresche e ammalianti.

Combattimenti frenetici ma ragionati

L’offerta ludica del settimo capitolo della saga prevede un sistema di battaglie per la prima volta lontano dalla comfort zone del combattimento a turni, perché fa muovere i quattro personaggi controllabili secondo le regole di un RPG maggiormente votato all’action ma che non abbandona i tatticismi del genere. È possibile controllare un solo guerriero durante le schermaglie, con l’intelligenza artificiale che fa un buon lavoro nell’animare il gruppo restante, però si può saltare nei panni degli altri tre in qualsiasi momento sfruttando le abilità peculiari di ciascuno di loro.

Yue infatti è una spadaccina veloce ed esperta guaritrice, la Divinità Xiu Wu è concettualizzabile in un tank, mentre nel corso dell’avventura si aggiungeranno anche Bai MoQing, con i suoi talismani elementali, e il balestriere Sang You. Le battaglie si svolgono in tempo reale ma rimangono “ingessate” in un sistema che non vuole completamente immergersi nell’action: tra colpi leggeri e pesanti, la varietà delle combinazioni è ristretta a quelle sbloccate con l’avanzamento di livello e si limita a tre pattern d’attacco, ciascuno con un effetto finale diverso a seconda del personaggio utilizzato.

Anche la schivata segue lo stesso concetto perché, nonostante sia precisa e permetta qualche frame di invincibilità, viene bloccata da alcune animazioni come il lancio delle magie o i colpi conclusivi delle combo, che dunque ci lasciano esposti agli attacchi nemici senza possibilità di evitarli, obbligandoci a scegliere il momento giusto per utilizzare le mosse più potenti o capire quando concludere la nostra offensiva. All’aumentare del livello si sbloccano anche le abilità peculiari dei vari protagonisti, come incantesimi o attacchi devastanti, che consumano MP e sono utilizzabili facendo comparire il pratico menù scorciatoia.

Gli sviluppatori hanno scelto di non ammorbare con troppi tatticismi l’uso delle abilità, perché i punti magia si ricaricano molto velocemente mettendo a segno gli attacchi classici, permettendoci dunque di utilizzare le mosse più potenti con frequenza senza preoccuparci eccessivamente del loro costo, al netto dei secondi di cooldown che impediscono di eseguire in continuazione la stessa mossa. Gli unici difetti rinvenibili nel sistema di combattimento risiedono nella gestione della telecamera, mai capace di assecondare il movimento del giocatore e chiusa in un angolo di visione così ristretto da lasciare fuori gran parte del campo di battaglia, e nel lock-on poco convincente, due storture queste che rendono alcuni scontri confusionari e difficilmente leggibili.

La parola d’ordine è spettacolarità

La piega action assunta dal combat-system si accoppia a un reparto di animazioni sbalorditivo per architettare battaglie coreografiche e spesso entusiasmanti, con l’uso frequente di un’effettistica capace di far brillare il campo di battaglia con scintille, fiamme e spade celestiali, anche sullo sfondo dei combattimenti contro l’inerme fauna locale.

Il comparto grafico è aiutato nella restituzione di una cornice spettacolare dai convincenti effetti sonori, che abbracciano il giocatore in un denso mondo tridimensionale, e dai raffinati brani orchestrali che pizzicano i timbri esotici d’oriente. Il contesto ludico brilla più intensamente di fronte ai boss di fine capitolo, i quali – nonostante siano mossi da pattern facilmente leggibili e memorizzabili – mettono in mostra i muscoli del profilo tecnico con maggiore frequenza, e regalano le occasioni giuste sia per concatenare diversi attacchi, sia per invocare maestose entità mitologiche quando la barra dell’energia raggiunge il massimo. Le ambientazioni sono propiziate da una palette cromatica luminosa e sempre varia, al netto di alcune sezioni finali molto meno ispirate, con un grado di dettaglio molto fine sulla breve distanza ma che accenna a qualche tentennamento nella gestione della draw distance. La maestria con la quale vengono costruiti gli scenari, tutti liberamente esplorabili come macro-aree non interconnesse, si aggiunge all’originalità del contesto cinese, per creare un colpo d’occhio convincente, al netto di occasionali bug grafici che talvolta ci hanno costretto a ricaricare l’ultimo checkpoint per risolvere la mancanza a schermo di alcuni elementi fondamentali.

Una scelta azzardata

Nel computo generale del prodotto appare dunque evidente come il combat-system e la cornice estetica siano gli elementi più apprezzabili, mentre la trama si pone come un pigro intermezzo non completamente riuscito: è dunque con sconforto che bisogna prendere coscienza del fatto che la narrazione abbia invece assunto il ruolo di protagonista, intaccando con dolorosa regolarità il ritmo altrimenti sostenuto del gioco con lunghissime cutscene e dialoghi insulsi, molti dei quali improntati su un riassunto frequente e mai richiesto degli avvenimenti appena accaduti.

All’interno delle venti ore necessarie a portare a termine l’avventura, infatti, nemmeno la metà sarà trascorsa in compagnia delle entusiasmanti battaglie, una scelta incomprensibile che sembra volutamente allontanare l’utente dal riuscitissimo gameplay per sottoporlo a una trama spesso dimostratasi banale. Al di fuori delle frequenti scene d’intermezzo, Sword and Fairy soffre inoltre di un approccio all’open world non propriamente ispirato, perché le numerose missioni secondarie che ci porteranno a esplorare gli scenari non sono altro che delle banali fetch-quest, spesso risolvibili in sparute linee di dialogo senza alcuna battaglia. Al calderone di contenuti opzionali già visti in altri titoli simili si aggiungono anche un gioco di carte basato sulle regole della morra cinese, alcune incoerenti sezioni platform, la possibilità di cucinare manicaretti per aumentare temporaneamente le statistiche e altri minigiochi che non spiccano per varietà.

L’opera di Softstar è più difficile da apprezzare per coloro che non conoscono l’inglese, perché non è prevista alcuna localizzazione in italiano, mentre l’unico doppiaggio disponibile è quello cinese, che obbliga a fermarsi durante l’esplorazione per leggere i sottotitoli o, ancora peggio, a perdere completamente i dialoghi durante i frenetici combattimenti.

Sword and Fairy: Together Forever
Sword and Fairy: Together ForeverVersione Analizzata PlayStation 5L’ultimo capitolo di una delle serie orientali più longeve di sempre scopre le meraviglie del combattimento in tempo reale e le incornicia con una resa grafica d’impatto, resa ancora più intensa dal peculiare senso artistico cinese che infonde un’anima originale alla messinscena così come alla narrazione. L’azione frenetica delle battaglie si piega alle regole ferree di un classico RPG asiatico, creando un miscuglio che brilla in modo particolare nel corso delle frequenti boss-fight del gioco. Purtroppo Sword and Fairy eredita dai titoli provenienti dallo stesso filone anche la propensione ai dialoghi e alla narrazione attraverso cutscene, che diventano per assurdo le protagoniste assolute dell’opera e chiudono in un angolo il sorprendente combat-system. La natura semi-open world del titolo si sviluppa attraverso missioni secondarie dai tratti banali, con tanto di numerosi minigiochi mai abbastanza convincenti, introdotti solo per allungare la conta delle ore. Il più che soddisfacente combat system si scopre dunque diluito all’interno di una visione che ha preferito mettere al centro dell’opera la fase narrata, fiaccando con troppa frequenza la sensazione di entusiasmo e grinta restituita dagli ottimi scontri.

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