Dead Island 2 Recensione: inno al massacro, tra violenza e divertimento

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Dead Island 2 Recensione: inno al massacro, tra violenza e divertimento
dead island 2 recensione: inno al massacro, tra violenza e

Dead Island 2 approda sul mercato con una proposta piacevolmente sanguinaria, che purtroppo mostra qualche flessione significativa.

Dead Island 2
Recensione: Multi

Dopo un decennio passato a vagabondare tra i gironi di un insidioso “development hell“, Dead Island 2 si appresta ad abbandonare finalmente il regno dei più per raggiungere i lidi del mercato multipiattaforma. A supervisionare la resurrezione del titolo troviamo Dambuster Studios, il terzo team a ereditare le redini della produzione dopo la lunga staffetta che aveva gettato fitte ombre sulle sorti del sequel. Il primo incontro col gioco, nella cornice dell’ultima Gamescom, ci aveva rassicurato circa l’esito di questo gradito ritorno, e lo stesso avevano fatto le prove successive, delineando un buon potenziale per l’opera del team di Nottingham. Dopo aver passato qualche decina di ore nella versione definitiva di Hell-A, la Los Angeles da incubo che fa da palcoscenico per l’avventura, possiamo confermarvi che il lavoro di Dambuster ha dato buoni frutti, ma forse non proprio quelli sperati.

Apocalisse californiana

Dead Island 2 si apre all’indomani di una nuova catastrofe virale, che riporta alla luce le memorie scolpite dal caleidoscopio di massacri che aveva tinto di sangue le spiagge dorate di Banoi. Messa da parte, almeno per il momento, la ragnatela di cospirazioni dietro quella prima sortita tra gli orrori scatenati dalla piaga Kuru, il sequel di Dambuster Studios proietta i giocatori nella cornice di una Los Angeles sotto assedio, trascinata all’inferno da un’epidemia del tutto simile a quella esplosa in Papua Nuova Guinea.

Come da copione, tutte le misure di contenimento messe in atto dal governo si sono rivelate drammaticamente inefficaci, così come buona parte dei piani d’evacuazione approntati dai militari, compreso quello che avrebbe dovuto portarci in volo oltre i confini della metropoli californiana. Condannati alla contusione multipla dall’inflessibilità della legge di gravitazione universale, ci troveremo dunque a muovere i primi passi nel ventre disastrato di un aereo, pronti ad attraversare l’oceano di fiamme che ci separa dal nostro primo scontro con la legione degli infetti. Il pacchetto di benvenuto comprende due chiacchiere con un drappello di sopravvissuti, qualche legnata in allegria e un bel morso, che porta con sé la promessa di un rapido declino delle facoltà cognitive in favore di una non-vita di scorpacciate. Destino vuole, però, che il nostro alter ego faccia parte di una minoranza immune agli effetti tipici del morbo, e pertanto ci troveremo presto a fronteggiare l’apocalisse con l’obiettivo di abbandonare Hell-A in compagnia dei nostri nuovi sodali, momentaneamente asserragliati all’interno del classico villone hollywoodiano.

In un tripudio di battute intrise di black humor, inviti allo sterminio e incarichi più o meno pretestuosi, in armonia con i toni di una produzione che non si prende mai troppo sul serio, la campagna messa a punto dal team britannico si muove lungo un percorso sostanzialmente lineare, che strada facendo ci porterà a visitare alcuni dei luoghi più iconici di Los Angeles, da Beverly Hills all’Hollywood Boulevard passando ovviamente per Santa Monica e Venice Beach.

Complice una scrittura amabilmente sopra le righe, coerente con lo spirito estroso della città che ospita l’avventura, la sceneggiatura si presenta come un piacevole intercalare tra gli eccidi al centro del gameplay, col supporto di un buon numero di personaggi che declinano in chiave ironica molti cliché della cultura losangelina.

Seppur gradevole, però, il racconto imbastito dallo studio mostra cedimenti sempre più significativi nella seconda metà del gioco, che manca di capitalizzare le svolte narrative delle prime ore aprendo la strada ad un finale piuttosto anticlimatico. Il doppio cliffhanger carpiato messo in scena dagli sviluppatori, di fatto, non dona alcuna reale chiusura alle vicende dei protagonisti, lasciando quindi ai DLC (o ad un eventuale terzo capitolo) il compito di dipanare i fili dell’intreccio.

Il manipolo di incarichi aggiuntivi disposti in coda alla trama principale non smuove più di tanto il bilancio della narrazione, pur andando a rimpolpare un “post-game” che permette di completare tutte le attività residue (sfide, missioni e caccia ai collezionabili), rinfoltire – un po’ tardivamente – l’armamentario con qualche oggetto leggendario e massimizzare la progressione del personaggio (il level cap è fissato a 30).

Per quanto funzionale, almeno in relazione alle caratteristiche del titolo, la storia si chiude insomma con una nota un po’ amara, che va comunque contestualizzata nel quadro di una produzione con un chiaro focus sull’azione, modellata per fornire agli utenti una lunga serie di pretesti per lanciarsi in un’orgia di superviolenza.

Godimento sanguinario

Come anticipato nella nostra ultima prova di Dead Island 2, il titolo di Dambuster Studios recupera in toto i costituenti della formula originale, mettendo al centro del gameplay una sterminata sequela di scontri all’arma bianca, intervallati all’occorrenza da qualche sventagliata balistica.

Non si vive di sole randellateSebbene le lotte in mischia rappresentino il cuore pulsante del combat system di Dead Island 2, il gioco offre agli utenti un buon numero di alternative a distanza, tra revolver, pistole, mitragliette e fucili di vario genere. Al pari delle controparti a corto raggio, queste bocche da fuoco sono disponibili a diversi livelli di rarità e possono essere modificate in base alle proprie esigenze. Pur non raggiungendo la piacevolezza del combattimento all’arma bianca, il gunplay si dimostra tutto sommato efficace, soprattutto dopo aver modificato un po’ le impostazioni relative alla sensibilità del sistema di mira. A completare l’arsenale troviamo inoltre un corposo elenco di ordigni lanciabili: granate, molotov, tubi esplosivi, contenitori d’acido, shuriken e perfino pezzi di carne utili a distrarre i nemici. Una volta equipaggiati (due alla volta), questi congegni si comportano come delle vere e proprie abilità, con tempi di ricarica che variano in base alla loro potenza.

Questo connubio è il nucleo fondamentale dell’esperienza e, a braccetto con il FLESH System, concede alla platea un generosissimo banchetto di variazioni sul tema della dissezione anatomica, alimentando a colpi di brutalità il senso di appagamento trasmesso dal combat system. Se è vero che la fisicità degli impatti non convince del tutto, specialmente per ciò che riguarda la diversificazione del feedback restituito dalle varie armi, è indubbio come il sistema di smembramento procedurale creato dal team di Deep Silver rappresenti al momento il “non plus ultra” dell’efferatezza poligonale. Nel caso foste in dubbio, sì, si tratta di un complimento. Non solo le mazzate inflitte a un nemico generano un inesauribile catalogo di lesioni localizzate, che spaziano dalle ferite lacero-contuse all’asportazione netta di una o più appendici, ma hanno anche un impatto sul vestiario degli infetti, sbrindellato in accordo con la traiettoria delle percosse. Sulle stesse note, l’uso di armi con potenziamenti elementali produce effetti altrettanto accurati, almeno in termini relativi, tanto che parte del divertimento è proprio assistere alla devastazione generata dalle combo messe a segno, anche passando da uno strumento all’altro. Va da sé che il direzionamento degli assalti ha una valenza “tattica” da non sottovalutare, poiché l’entità delle lacerazioni può influire sulle capacità combattive di un avversario, ad esempio riducendo al minimo la sua mobilità.

Come detto, il sistema di personalizzazione delle armi – ampliato rispetto a quello del capitolo d’esordio – aggiunge un sostrato di rilievo al combattimento, specialmente una volta che avremo sbloccato le modifiche più avanzate, realizzabili col contributo delle nostre vittime. Il novero, piuttosto nutrito, delle mostruosità a spasso per Hell-A comprende infatti esemplari dotati di peculiari facoltà, come dei possenti colossi in grado di percuotere il suolo scatenando esplosioni di fuoco.

Oltre ad essere immuni al loro elemento distintivo, queste creature lasceranno a terra frattaglie alquanto preziose, alla base di potenziamenti con cui creare efficaci sinergie, che ad esempio ci consentiranno di estendere le capacità speciali di un’arma (fuoco, elettricità, acido e compagnia danzante) a tutti i nemici nelle vicinanze, o di recuperare salute menando fendenti.

Anche le carte abilità assegnate al personaggio possono amplificare gli effetti dell’equipaggiamento (compresi quelli delle armi da fuoco), in modo da ottimizzare l’efficienza mortifera del protagonista scelto, ovviamente in base alle proprie attitudini guerresche.

A questo proposito, ognuno dei comprimari selezionabili all’inizio dell’avventura rappresenta il primo passo sul cammino tracciato dalla progressione: le statistiche di base dei diversi personaggi (che aumentano di livello in livello), così come le due abilità innate di ciascuno, li rendono più o meno indicati per specifici stili di gioco, sebbene questa prima scelta non sia poi così vincolante. Parlando delle capacità iniziali dei sei protagonisti, è possibile notare qualche evidente disparità che però ha conseguenze relative sul bilanciamento a lungo termine. Amy può ad esempio infliggere più danni ai nemici isolati, una facoltà che nella brulicante Los Angeles di Dead Island 2 ci è parsa ben meno utile di quella in dote a Carla, più letale se circondata da una schiera di avversari. Pur manifestando qualche fluttuazione, il sistema di avanzamento mostra comunque un buon grado di duttilità, tale da offrire agli “ammazzazombi” significativi margini di manovra nella definizione del proprio assetto battagliero, determinato da quattro categorie di talenti (Capacità, Superstite, Ammazzazombi, Numen).

Uccidi, raccogli, ripeti

Le carte, ottenibili avanzando di livello, completando incarichi o esplorando lo scenario, possono insomma diversificare in maniera consistente l’esperienza di gioco, e perfino mutare radicalmente il comportamento di specifiche meccaniche: la parata può ad esempio essere sostituita con una rapida schivata (e viceversa), e così facendo si modifica anche la dinamica del contrattacco eseguibile attivando la mossa col giusto tempismo. In questo senso, un altro caso significativo è rappresentato dalle variabili che possono essere attribuite alla Furia, una “modalità berserker” legata a doppio filo alla particolare fisiologia del nostro personaggio.

Una volta riempito un apposito indicatore a suon di batoste, l’attivazione di questo potere ci permetterà di saettare tra gli infetti come un’inarrestabile tifone umanoide, e travolgerli con una tempesta di feroci rampate. Ecco, scegliendo le giuste carte potremo prolungare questo “stato ferino” attingendo alla riserva di vitalità, e fare in modo che quest’ultima venga nutrita costantemente dalle uccisioni effettuate: una sorta di moto perpetuo alimentato a cattiveria.

Per ottenere questo temibile risultato dovremo utilizzare alcune carte particolarmente pericolose (e potenti) che, oltre ad infliggere malus più o meno rilevanti, innalzeranno il livello di “Autofagia“, un valore che simboleggia la nostra lontananza dalla condizione umana e, più concretamente, aumenta le facoltà offensive intaccando però salute, resistenza ed efficacia delle cure. Per quanto intrigante, questo tassello del sistema di progressione non ci è parso del tutto a fuoco, soprattutto in virtù di un rapporto rischio rendimento che richiede ancora qualche aggiustamento.

Al netto dei suoi disequilibri, sottolineati da un livello di sfida a tratti inconsistente, il nucleo ludico di Dead Island 2 mostra comunque una buona solidità generale, purtroppo intaccata da una ripetitività di fondo che col passare delle ore si fa sempre più marcata.

A rendere particolarmente pesante questo fattore, tutto sommato fisiologico in esperienze di questo tipo, è soprattutto la scarsa varietà situazionale che caratterizza l’assetto delle attività proposte. In buona sostanza, quasi ogni incarico richiede ciclicamente di maciullare nemici e di scovare specifici elementi (oggetti o informazioni) all’interno di un’area, con solo un pugno di eccezioni a spezzare questa routine. Queste sono per la gran parte riconducibili ad una manciata di enigmi ambientali basati sull’attivazione sequenziale di dispositivi come valvole e leve, o in alternativa su interazioni elementali che risultano ben più organiche e avvincenti nel contesto del combat system. Tra gli aspetti che non ci hanno convinto ci sono anche le dinamiche premiali legate all’esplorazione del mondo di gioco – alquanto limitate – e l’assortimento delle boss fight, che il più delle volte coincidono col primo incontro con una nuova tipologia di nemico.

Malgrado tutto, però, la gratificazione sanguinaria offerta dal combattimento, sostenuta dalla varietà dei sistemi di progressione ed equipaggiamento, fa sì che le venti ore necessarie al completamento della campagna (tra sfide e missioni secondarie, i completisti potrebbero impiegarne il doppio) scorrano senza particolari intoppi, specialmente potendo contare sulla compagnia di qualche collega sterminatore.

È proprio in co-op, infatti, che Dead Island 2 dà il meglio di sé, in un continuo susseguirsi di memorabili carneficine e incidenti di percorso che di solito rendono il tutto ancor più divertente. Già che ne stiamo parlando, vi sconsigliamo caldamente di sparare verso un alleato intento a spargere benzina su una frotta di zombi. Non fa bene all’amicizia.

Lo splendore di Hell-A

Dal punto di vista tecnico, Dead Island 2 si presenta come un prodotto solido e soddisfacente. In rotta con uno dei trend più rodati dell’attuale generazione, il gioco non ha modalità grafiche selezionabili, ma propone un singolo preset a 4K (presumibilmente dinamici) e 60 fps.

Il frame rate manifesta qualche fluttuazione nei momenti più concitati (specialmente in co-op), che però non arriva mai a compromettere la godibilità del gameplay. Il tutto a fronte di una resa grafica pregevole valorizzata da una direzione artistica di valore, che allieta i sensi con un mosaico di scenari ben torniti e ricchi di dettagli, straordinariamente fedeli a quelli della Los Angeles reale. La scelta – oculata – di optare per una suddivisione del mondo in macroaree, a braccetto con la gestione “scaglionata” del ciclo giorno-notte (il momento cambia passando da un’area all’altra), ha permesso al team di dedicare una maggiore cura alla composizione delle diverse ambientazioni, e massimizzare l’efficacia del sistema di illuminazione, cui si affianca un ricco assortimento di riflessi screen space, e un uso eccellente del PBR (physically based rendering). Al di là delle lodi intessute per gli effetti visivi innescati dal FLESH System, anche quelli causati dalle interazioni elementali ci hanno lasciato piuttosto soddisfatti.

Al netto di qualche asperità sul fronte della modellazione poligonale e delle animazioni (specialmente quelle dei personaggi visibili in co-op), il gioco non esibisce dunque criticità di rilievo sul versante grafico; un discorso che estendiamo senza fatica anche al comparto sonoro, in particolar modo per ciò che concerne l’effettistica.

Come anticipato nell’ultima anteprima, il doppiaggio non sempre coglie nel segno, ma nel complesso fa il suo dovere. Prima di chiudere, vale la pena di dedicare qualche parola alle feature distintive del DualSense, che Dead Island 2 sfrutta in modo piuttosto superficiale, senza guizzi degni di nota.

Dead Island 2
Dead Island 2Versione Analizzata PlayStation 5A quasi un decennio dall’annuncio ufficiale del gioco, Dead Island 2 riemerge dal limbo con una proposta che recupera ed evolve l’assetto ludico del capitolo d’esordio, con l’obiettivo di offrire al pubblico un’esperienza carica di sanguinario appagamento. Questo col contributo di un sistema di smembramento procedurale che segna nuovi standard sul versante della brutalità poligonale, alimentando il senso di appagamento trasmesso dal combat system. Pur manifestando qualche oscillazione qualitativa più o meno significativa, le colonne portanti del gameplay (combattimento, progressione e gestione dell’equipaggiamento) si dimostrano tutto sommato solide, ma purtroppo questa saldezza finisce per scricchiolare sotto il peso di una ripetitività fin troppo marcata. La stragrande maggioranza delle attività ricalca il medesimo modello, con giusto una manciata di variazioni che, nel quadro generale, non smuovono più di tanto il bilancio di un’esperienza sì piacevole, ma fin troppo piatta. Un discorso che coinvolge anche il percorso principale di una campagna che nella seconda parte perde mordente, e si chiude con un cliffhanger piuttosto sfacciato, che in tutta onestà lascia un po’ interdetti. Malgrado le qualità dei suoi migliori ingredienti, compreso un comparto tecnico pregevole, Dead Island 2 si presenta all’appuntamento col lancio con qualche cedimento di troppo, sebbene l’esperienza sia comunque in grado di offrire ai giocatori una ventina d’ore di brutale diletto, specialmente in co-op.